venerdì 22 novembre 2019

Parmi un assurdo

[Trascrizione non rivista dall'autrice del discorso tenuto da Tamara Chikunova il 21 novembre 2019 a Trieste, in occasione di Cities for Life - Città per la vita, città contro la pena di morte, promosso dalla Comunità di Sant'Egidio]

Voglio condividere con voi la mia storia per riflettere sul terrore globale della pena di morte.
Mio figlio ed io vivevamo e lavoravamo in Uzbekistan, a Tashkent. Il 17 aprile 1999, un giorno che non prospettava nulla di male, è diventato il punto di partenza dell’orrore in cui siamo sprofondati io e mio figlio Dimitrij. Quel giorno nell’ufficio di mio figlio si presentarono tre uomini in borghese e gli dissero che doveva recarsi al dipartimento degli affari interni della regione. Io ero lì presente e chiesi per quale motivo: mi risposero che era solo una formalità e che dopo poco sarebbe stato rilasciato. Mio figlio mi rassicurò ed uscì assieme a loro. Non tornò più.
Poche ore dopo arrestarono anche me, mi interrogarono per dodici ore, poi mi picchiarono. Chiedevo notizie di Dimitrij, ma nessuno mi rispondeva. Mi lasciarono andare.
Dopo sei mesi rividi mio figlio per la prima volta, in carcere. Entrai e non lo riconobbi. Dimitrij mi raccontò delle torture subite per fargli dichiarare di essere colpevole di un duplice omicidio. Mio figlio non accettò di firmare un’ordinanza contro se stesso e subì ogni umiliazione pur di non dichiarare di aver commesso un omicidio che, appunto, non aveva commesso. Ma poi lo portarono sul luogo del crimine, lo fecero mettere in ginocchio, con le mani legate dietro la schiena, ammanettate. Un investigatore gli puntò una pistola al collo e gli disse: «Ora, o firmi la confessione di omicidio o ti sparo e dichiaro che sei morto in un tentativo di fuga». Dimitrij rifiutò e gli fecero ascoltare da un telefono cellulare una registrazione di quando ero stata picchiata dalla polizia. Allora disse: «Lasciate stare mia madre, garantite la salvezza della sua vita e firmerò i vostri documenti». Così mio figlio firmò la sua condanna a morte in cambio della mia salvezza.
L’11 novembre 1999 fu emessa la condanna a morte:

Dimitrij, 28 anni, cristiano, non ha alcun valore per la società e non può essere riabilitato in carcere, pertanto, per i reati commessi, viene condannato a morte per fucilazione

Sette mesi dopo mi fu concesso un colloquio con mio figlio nel braccio della morte del carcere in cui era detenuto. L’8 luglio 2000 ricevetti una sua lettera in cui mi scriveva:

«Cara mammina mia, aspetto tanto di vederti. Vorrei dirti tante cose, ma il tempo sarà limitato e parleremo solo del mio caso, dove fare ricorso e come argomentarlo. Ma voglio dirti quanto ti amo e ti rispetto, quanto mi manchi e penso a te, e mi preoccupo per te».

Il 10 luglio 2000 aspettavamo il colloquio, ma il colloquio non ci fu: quel giorno stesso, alle 10 del mattino, nel carcere di Tashkent fu segretamente fucilato il mio unico bambino, mio figlio Dimitrij. Come continuare a vivere? Non hanno ucciso solo mio figlio, hanno ucciso anche il mio futuro. Con la vita di mio figlio hanno ucciso anche la mia vita. Non volevo vivere, ero costantemente tormentata dalla domanda: perché tanta crudeltà?
Quaranta giorni dopo l’esecuzione mi è stata consegnata l’ultima lettera di mio figlio, che è come un testamento. Mi ha scritto:

«Mia cara mammina, ti chiedo perdono se il destino non permetterà di rincontrarci. Ricorda che io non sono colpevole, non ho ucciso nessuno. Preferisco morire, ma non permetterò a nessuno di farti del male. Ti amo molto. Sei l’unica persona cara della mia vita. Ti prego, ricordati di me. Molti baci, tuo figlio Dimitrij».

Dopo l’esecuzione di Dimitrij nel 2000 ho fondato l’associazione Madri contro la pena di morte e la tortura e ho cominciato a lavorare contro la pena di morte, per l’abolizione della pena di morte. Sono una giurista, ho lavorato su ogni singolo caso di condanna a morte. Io non giustifico i criminali per i loro reati, ma questa punizione non modifica la situazione, la aggrava soltanto. Quando viene presa una decisione di condanna capitale, viene presa a nome di tutti, e noi siamo colpevoli: cambiamo posto nella società, diventiamo carnefici.
Dopo l’esecuzione di mio figlio Dimitrij non sono riuscita a dormire per due anni, per la disperazione e lo strazio, per l’impotenza ed il senso di vendetta. Sentimenti che distruggono dall’interno, sentivo che rischiavo di diventare pazza. Il destino mi ha gettato a terra, distruggendo la mia vita, portando via il mio futuro. Ma come dice la Bibbia, Dio mi ha preso in braccio, mi ha dato la forza di vivere, mi ha mostrato la via della pace attraverso il perdono. E così ho saputo perdonare tutti coloro che avevano condannato a morte mio figlio. Ho perdonato tutti: quando vivevo nella vendetta, vivevo nel passato e nel dolore, e non vedevo il presente e la speranza nel futuro.
Ho ricevuto molte lettere da persone detenute nel braccio della morte, da persone che erano state torturate. Per evitare di firmare una condanna contro se stesso, un ragazzo si era tolto entrambi gli occhi. Quel ragazzo morì poco dopo: gli avevano lesionato il fegato durante le torture, aveva solo 27 anni. Mi ha scritto che aveva pregato assieme a tre ragazzi musulmani, avevano pianto insieme. Un sacerdote gli aveva fatto visita. Mi ha scritto che aveva perdonato tutti.
La pena di morte è spesso vista come una misura per ridurre i crimini violenti. Si compie un crimine in nome della legge, è la vendetta della società: ogni omicidio in nome della legge non fa altro che moltiplicare la violenza, perché dopo l’esecuzione dell’omicida la vittima non torna in vita.
La pena di morte implica una morte violenta, intenzionale e premeditata. È un atto pubblico contro la vita umana. È una tortura terribile attendere la morte ogni giorno.
Nei Vangeli ci sono molti esempi di misericordia di Gesù Cristo in casi chiaramente penali. Pongo molto l’accento su Dio e sulla religione perché non ho mai incontrato un ateo nel braccio della morte. Ho sempre visto tutti i detenuti pregare. Come quando un aereo sta per schiantarsi al suolo: tutti si mettono a pregare.
L’orrore della morte sta nella sua irreversibilità. I parenti di molte vittime pretendono l’esecuzione per la morte di un proprio caro. Dura lex, sed lex– la legge è dura ma è la legge. Ma la legge è altrettanto giusta, per quanto sia dura? La morte non pareggia la bilancia della giustizia: il giudizio della coscienza è molto peggio.
La cosa peggiore, nell’applicazione della pena di morte, è l’errore giudiziario. Nessun sistema al mondo è in grado di garantire una decisione giusta, coerente e priva di errori su chi deve vivere e chi deve morire.
Mio figlio Dimitrij, condannato con ingiusta sentenza nel novembre 1999, fu segretamente fucilato il 10 luglio 2000 nel carcere di Tashkent. Nel marzo 2005 è stato riabilitato post mortem, riconosciuto innocente e il suo processo è stato dichiarato iniquo. Ma la pena di morte è irreversibile e una giustificazione postuma non riporta in vita il condannato.
La Comunità di Sant’Egidio mi ha insegnato la possibilità di dialogo con i governi. Voglio sottolineare in particolare l’enorme contributo apportato dalla Comunità di Sant’Egidio nel lavoro per l’abolizione della pena di morte in Uzbekistan e per la protezione della mia stessa vita, che era minacciata dalle autorità. Nel corso di sette anni, giorno per giorno, abbiamo lottato assieme affinché ogni vita fosse risparmiata da questo orrore. Il 1 gennaio 2008 la pena di morte è stata ufficialmente abolita in Uzbekistan. Durante la collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, precedente al 2008, erano state salvate dalla pena di morte 109 persone. Di quelle 109 persone sono stati riesaminati tutti i casi: solo 12 persone sono state condannate all’ergastolo, tutti gli altri processi erano stati falsificati.
Abbiamo lavorato insieme anche in altri paesi dell’Asia centrale per abolire la pena di morte: Turkmenistan (abolizionista dal 1999), Kazakistan (abolizionista dal 2007 per tutti i reati eccetto alcuni atti di terrorismo e crimini gravi commessi in tempo di guerra), Tagikistan (dove sono in vigore due moratorie), Mongolia (abolizionista dal 2015).
Io non giustifico i criminali per i loro crimini, ma uccidere i criminali per ottenere giustizia è una vendetta della società. Gandhi diceva che il principio occhio per occhio renderà tutto il mondo cieco.
Martin Buber scriveva che tutto inizia dal cambiamento di se stessi. Nessuno ci può impedire di cambiare. La scelta sta a voi.